Documento orientativo destinato a tutti i Comitati provinciali dell'ANPI ai fini dello svolgimento dei congressi provinciali e sezionali in preparazione del XIV Congresso nazionale che si terrà a Chianciano nel prossimo febbraio 2006. Il documento non intende costituire un vincolo rigido alla discussione congressuale, ma semplicemente evidenziare le tematiche che ad avviso del Comitato nazionale attualmente in carica, al quale spetta l'organizzazione politica, pratica e culturale della nostra massima assise nazionale, devono essere tenute presenti nella discussione collettiva fin dalle istanze di base. Ciò senza volere minimamente condizionare la piena libertà di tutte le articolazioni periferiche dell'Associazione di intervenire su argomenti ritenuti comunque degni della nostra attenzione, anche con riferimento alla specificità e diversità delle realtà locali. Tutto ciò in coerenza con la metodologia democratica tradizionalmente da sempre applicata dall'ANPI nella preparazione e nello svolgimento dei Congressi nazionali.
I Situazione generale del nostro Paese
L'ANPI è chiamata a tenere il proprio XIV Congresso Nazionale in un momento di gravissima crisi politica ed istituzionale, che a pieno titolo può essere definito di vera e propria "emergenza democratica". Non si tratta di una situazione sorta all'improvviso, ma di una realtà delineatasi e maturata nel tempo i cui sintomi, avvisaglie e pericoli, sono da tempo presenti nel panorama politico italiano come la nostra stessa Associazione, insieme alle altre forze politiche e sociali più consapevoli della realtà, ha ripetutamente denunciato. Come è avvenuto, ad esempio, nel Congresso di Padova/Abano Terme del 29-31 marzo 2001, là dove nel documento conclusivo si affermava: "...In un quadro internazionale percorso da forti elementi di aggravamento e di tensione, sono presenti i rischi di una forte involuzione del nostro sistema democratico, che coinvolge la negazione e l'alterazione dei princìpi fondamentali costituenti il patrimonio della Resistenza sui quali è stato edificato l'assetto costituzionale della Repubblica. Le elezioni del prossimo 13 maggio in Italia costituiranno un momento di confronto e di scontro fondamentale per evitare che i pericoli involutivi che il congresso ha individuato prendano una reale consistenza. Nella realtà italiana lo schieramento di centro-destra vede al proprio interno la presenza di forze componenti e personaggi che addensano sul futuro del Paese le prospettive sopra denunciate. Lo schieramento di centro-sinistra per parte sua, troppo spesso attraversato da conflitti e competizioni che non hanno certamente rafforzato la sua immagine pubblica, non sempre ha contrastato con la necessaria decisione e coerenza culturale i pericolosi propositi provenienti dalle pulsioni reazionarie e potenzialmente eversive che nella destra si sono manifestate". Oggi, dopo una quasi intera legislatura nel corso della quale il potere è stato esercitato dalla coalizione di centro-destra in modo spregiudicatamente decisionistico, la crisi in cui versa il nostro Paese è manifesta in tutta la sua gravità e lo sta, giorno per giorno, sospingendo verso una deriva dalla quale risulterà sempre più difficile e doloroso liberarsi e riscattarsi. Si tratta di una deriva che investe tutti i fondamentali aspetti della vita associata della nostra comunità nazionale: il quadro economico, il quadro istituzionale, il ruolo internazionale dell'Italia, come definito dalla Costituzione e l'ispirazione democratica della politica.
II Il nodo dell'economia
L'economia italiana si presenta oggi in una posizione fortemente degradata rispetto a quella di appena cinque anni fa. Il quadro è peggiorato infatti, sia in termini di finanza pubblica, sia sotto il profilo delle attività produttive. Il 2005 si sta chiudendo nella prospettiva di una crescita attorno allo zero del Prodotto Interno Lordo, dopo una serie di anni nei quali l'aumento del PIL non ha segnato che pochi decimali di punto. Né è consolante il raffronto con gli altri Paesi dell'Europa, che pure sono stati colpiti da un analogo fenomeno di rallentamento, perché la prestazione italiana è stata la peggiore dell'intera Unione nell'ultimo quinquennio. Gli osservatori internazionali più qualificati - dalla Banca centrale europea al Fondo monetario internazionale - hanno da tempo denunciato con crescente allarme il pericolo di un declino economico del nostro Paese che, di questo passo, potrebbe rapidamente estrometterci dal Gruppo degli otto Paesi più industrializzati del mondo. La nostra quota nel commercio mondiale sta declinando, anno dopo anno, tanto che nella classifica della competitività stilata dal World Economic Forum l'Italia è precipitata dal 26° al 47° posto dal 2001 al 2005. Se è vero che un po' tutti i Paesi dell'Occidente hanno risentito in questo periodo della difficile congiuntura mondiale seguita alla tragedia dell'11 settembre 2001 e ai conflitti bellici nel cuore della regione petrolifera, il nostro è comunque quello che si è rivelato più vulnerabile degli altri. È significativo che la stessa Confindustria parli ora di un Paese "che sta deragliando". Ancora più grave è il degrado verificatosi nei saldi della finanza pubblica. Il debito pubblico, che nel quinquennio precedente era sceso dal 124 al 109 per cento rispetto al PIL, ha drammaticamente frenato la sua corsa al rientro calando soltanto di tre punti fra il 2001 e il 2004. Nel 2005, addirittura, è tornato a crescere a un ritmo che potrebbe riportarlo a quota 110 nel giro di un biennio. Tutto ciò nonostante il pur prodigioso aggancio all'euro che ha consentito di beneficiare di un forte calo della spesa per interessi sul debito medesimo. In sostanza si è interrotto il processo di risanamento dei conti pubblici avviato dalla gestione di Carlo Azeglio Ciampi e l'Italia è tornata ad essere una vigilata speciale da parte dell'Unione Europea, che si è trovata costretta ad imporci uno stringente sentiero di rientro nei parametri violati tanto del debito che del deficit pubblico. Il quadro complessivo si rivela ancora più cupo ed allarmante, infine, se si considera il potere d'acquisto dei cittadini. Ancorché l'euro abbia sottratto gli italiani alle un tempo consuete falcidie delle svalutazioni della lira, la distribuzione della ricchezza nel Paese ha accentuato il disegno di una piramide a base sempre più larga, sul fondo della quale cresce il numero delle famiglie che scendono sotto la soglia della civile sopravvivenza. Il governo Berlusconi porta una netta e inequivocabile responsabilità per questo rapido peggioramento della situazione economica e sociale del Paese. Sul terreno dei conti pubblici perché la strategia del ministro Tremonti è stata quella di intervenire solo attraverso misure temporanee di mera cosmesi contabile, che alla fine, hanno lasciato crescere indiscriminatamente la spesa pubblica coi risultati sopra accennati. Per giunta, il tanto decantato slogan berlusconiano del "meno tasse per tutti" si è tradotto in provvedimenti che hanno alleggerito le imposte sui redditi elevati che su quelli medio-bassi. Con l'esito perverso di far calare il gettito nelle casse dello Stato e, insieme, di aggravare le iniquità distributive del carico fiscale sul piano sociale. Quanto alla gestione della difficile congiuntura produttiva, l'unico provvedimento di rilievo del governo Berlusconi è stato una riforma del mercato del lavoro che ha sì ridotto il tasso ufficiale della disoccupazione, ma attraverso la moltiplicazione di posti di lavoro precari, nel tempo e nei diritti, creando così una sorta di ghetto del sottoproletariato nel quale confinare soprattutto i più giovani. Da ultimo, ma non per ultimo, va ricordata la totale inerzia mostrata dall'attuale governo di fronte ai numerosi scandali finanziari - dai casi Cirio e Parmalat fino alla vicenda delle scalate bancarie che ha pesantemente coinvolto la Banca d'Italia - con la conseguenza di azzerare la credibilità del Paese sui mercati finanziari internazionali. Così distruggendo quel capitale di fiducia che l'Italia aveva saputo ricostruire al momento del passaggio dalla lira all'euro.
III La questione istituzionale: leggi ad personam, conflitto di interessi, attacco alla Costituzione e conflitto con la magistratura
Ciò che dovrebbe contraddistinguere le leggi in uno Stato democratico è la loro caratteristica peculiare di rivolgersi alla generalità dei cittadini nell'interesse generale della comunità. In questi oltre quattro anni di governo del centro-destra sono stati invece calpestati questi princìpi di civiltà giuridica con una continua e martellante elaborazione e approvazione di leggi ad personam, palesemente dirette a favorire gli interessi di ristretti gruppi o singole persone insediati nelle stanze del potere, tra i quali va purtroppo annoverato anche l'attuale Presidente del Consiglio. In questa direzione si è mossa la legge sulle rogatorie, volta a rendere più complesse e difficoltose le indagini all'estero, specialmente nel campo documentale e bancario, da parte della magistratura. Analoghe finalità di un intervento destinato a favorire pendenze giudiziarie concernerti lo stesso Presidente del Consiglio e le sue aziende, è costituito dalla legge sulla sostanziale depenalizzazione del falso in bilancio, i cui effetti sono stati resi palesi proprio in questi giorni. Nella stessa logica si colloca la legge Cirami che, con una nuova e vaga definizione della legittima suspicione, tende a sottrarre al giudice naturale (nella specie, in particolare, ai giudici milanesi) i processi di maggiore impatto politico e sociale. Ha fatto seguito un tentativo di garantire l'impunità alle cinque più alte cariche dello Stato (il cosiddetto Lodo Schifani), in violazione del principio della eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge ed è attualmente in corso, nonostante l'indignazione e l'allarme che ha provocato in larghe fasce dell'opinione pubblica e nel campo dei più seri ed accreditati giuristi, la legge sulla riduzione dei termini della prescrizione che provocherebbe l'annullamento di migliaia di gravi processi tuttora in corso, tra i quali va annoverato quello che oramai ha consentito di ribattezzare il provvedimento come legge "salva Previti". Pur non riguardante direttamente la giustizia, tra le leggi ad personam va annoverata anche la legge Gasparri, su emittenza televisiva ed editoria, che consente di consolidare il ruolo di preminenza paramonopolistica delle aziende televisive del Presidente del Consiglio. La situazione italiana è poi caratterizzata da un inedito e macroscopico conflitto di interessi che vede il Presidente del Consiglio essere proprietario di un impero mediatico e finanziario di enormi proporzioni che lo pongono in una posizione, come evidenziato, paramonopolistica che gli consente di intervenire in modo massiccio e sperequato nel campo della comunicazione politica, come è sotto gli occhi di tutti gli italiani. Una situazione anomala alla quale si è soltanto finto di porre rimedio con atti in pratica del tutto inefficaci. Ma l'attacco più grave e preoccupante è quello che viene portato alla Costituzione della Repubblica. La nostra Associazione, già nel Congresso di Padova/Abano Terme, denunciava l'intenzione da parte del governo di centro-destra di modificare profondamente la Costituzione approvata il 27 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1948. Nel documento conclusivo di tale Congresso abbiamo denunciato tra l'altro l'intenzione di questa coalizione di rimuovere l'ispirazione antifascista della Costituzione e di operare una profonda serie di modifiche volte a destrutturare fortemente i princìpi e valori sui quali essa stessa è stata fondata e scritta. Nell'estate del 2003, valendosi della forte maggioranza in entrambi i rami del Parlamento, ottenuta nelle elezioni del 2001 (essenzialmente come risultato del meccanismo elettorale), quei propositi sono stati rapidamente attuati con metodi del tutto opposti a quelli di un'ampia consultazione di tutte le forze politiche e sociali del Paese, che sarebbe stata necessaria per realizzare un effettivo consenso elettorale intorno al sistema delle regole che rappresentano il cardine fondamentale per il funzionamento di una moderna democrazia. Attraverso la redazione di un testo affidato a quattro rappresentanti della coalizione di centro-destra (Roberto Calderoli, della Lega Nord, dentista; Andrea Pastore di Forza Italia, notaio; Francesco D'Onofrio dell'Udc, professore universitario e avvocato; Domenico Nania di An, avvocato) riuniti nelle montagne del Cadore, è stato così approvato un disegno di legge che riscrive oltre la metà degli ottantacinque articoli della seconda parte della Costituzione vigente, andando a incidere profondamente non solo sull'ordinamento della Repubblica, ma in sostanza anche sulla prima parte della Costituzione stessa che contiene i 12 articoli dei princìpi fondamentali e i 42 articoli concernenti i diritti e doveri dei cittadini. Non una riforma, ma una vera e propria nuova Costituzione. Tutto ciò è avvenuto senza alcun coinvolgimento dell'opposizione e costituisce il metodo costante che viene seguito nello sviluppo parlamentare dell'iniziativa che a buon titolo può essere definita una vera e propria "controriforma". La prima lettura del disegno di legge in questione ha avuto inizio al Senato il 23 ottobre 2003 e si è conclusa il 25 marzo 2004. La "controriforma" è poi successivamente passata alla Camera il 7 aprile 2004 e ivi si è conclusa il 15 ottobre successivo. Ritornata al Senato il 2 febbraio 2005, a seguito di alcune modifiche introdotte dall'altro ramo del Parlamento, la prima lettura della "controriforma" si è conclusa definitivamente il 23 marzo 2005. Nel momento in cui viene redatto questo documento l'iter, di cui all'art. 138 della Costituzione, che prevede una seconda lettura parlamentare, dovrebbe venire ripreso verso la fine di questo mese di ottobre, sulla base di un testo ormai "blindato" e non più suscettibile di emendamenti. Si tratta di un percorso complessivo che nulla ha in comune con quello, di ben altro spessore e portata, che, pur nelle difficili e drammatiche condizioni del primo dopoguerra, fu seguito dai Costituenti della appena nata Repubblica Italiana, i quali agirono animati dalla passione, dalla lungimiranza e dal senso di responsabilità loro suggerito dallo spirito unitario che aveva guidato e illuminato la lotta per la libertà della nostra Patria. Se la seconda lettura parlamentare, contemplata dall'art. 138, si concluderà con l'approvazione del testo già votato in prima lettura, sarà aperta la strada per il ritorno alla parola agli elettori attraverso il referendum conservativo. Nel merito va sommariamente osservato:
1. l'iniziativa proposta apre una grande questione democratica: abbandonato il principio della centralità del Parlamento e della forma di governo parlamentare, essa delinea una diversa forma di governo, unica nell'intero panorama internazionale, basata sul potere populistico di un uomo solo, il Premier, alla cui mercé il Parlamento viene a trovarsi, esasperando così la personalizzazione del potere, che rischia di aprire la strada a possibili derive autoritarie, senza d'altro canto consentire vera stabilità ed efficacia all'azione di governo. 2. l'iter di formazione delle leggi è estremamente arzigogolato e complesso e il rapporto tra la nuova Camera e il Senato federale confuso, in modo tale da fare concretamente temere momenti di paralisi. Unico organo con effettive potestà decisionali è costituito dal Premier. 3. la riforma, in parte annulla e in parte indebolisce il sistema delle garanzie democratiche e costituzionali. Il Presidente della Repubblica viene interamente privato dei suoi poteri di massimo garante costituzionale - a cominciare da quelli dello scioglimento delle Camere e di nomina del Primo Ministro - divenendo una figura puramente rappresentativa. Il ruolo della Corte Costituzionale viene depotenziato attraverso la modifica del sistema di nomina dei suoi componenti nel senso di assicurarne la sintonia con il potere esecutivo. 4. La cosiddetta "devolution", imposta come un diktat da una delle componenti della coalizione di centro-destra, non pone le basi per la costruzione di un moderno Stato federale. Al contrario mescola contraddittoriamente derive secessioniste e rivincite centraliste, minaccia l'unità nazionale e la coesione del Paese, soffoca l'autogoverno locale, mette a rischio l'universalità dei diritti e delle libertà costituzionali, a partire dai diritti all'istruzione e alla salute. Aumenterebbe e non diminuirebbe il contenzioso tra Stato, Regioni, enti locali, l'ingovernabilità e il caos istituzionale. Costringerebbe le Regioni e gli enti locali a aumentare le tasse e a ridurre i servizi, anche i servizi essenziali per i cittadini. L'appuntamento per il referendum confermativo può costituire un grande momento di mobilitazione e di lotta per la difesa della nostra Costituzione nata dal travaglio della Resistenza. Gli uomini, le donne e i giovani di questo Paese sono certamente decisi a difendere tutti i valori di libertà, eguaglianza, giustizia e solidarietà in essa codificati, con un corale "NO" alla "controriforma", ma occorre che, attraverso una ampia opera di informazione e di mobilitazione, essi vengano resi pienamente consapevoli della gravità dell'attacco che si intende portare alla Carta fondamentale della Repubblica. La nostra Associazione, le cui radici sono fondate nei princìpi e nell'impianto della Costituzione del 1948, sente fortemente il dovere di impegnare le proprie forze per quell'opera di chiarimento e mobilitazione. Un impegno che deve essere portato avanti nello spirito unitario che ha animato la lotta di liberazione nazionale e che nella realtà attuale deve tradursi nella stretta collaborazione e sintonia innanzitutto con le altre Associazioni della Resistenza, con le forze sindacali, con tutte le Associazioni democratiche che abbiano a cuore la salvaguardia e il progresso del nostro sistema democratico e con esso dell'intero Paese, con i giovani e con le donne che costituiscono la più grande risorsa per il progresso e il futuro del nostro Paese. Per questa finalità la nostra Associazione ha ufficialmente aderito al Comitato di Coordinamento nazionale "Salviamo la Costituzione", presieduto dal Presidente emerito, Oscar Luigi Scalfaro, ed è parte attiva nella attività di informazione e denuncia svolta dagli omologhi Comitati di Coordinamento sorti in molte importanti città del nostro Paese. La coalizione di centro-destra, con il Presidente del Consiglio in testa, si è poi distinta, da anni ormai, in un continuo attacco alla magistratura, incentrato sulla critica a particolari iniziative giudiziarie. In coerenza con questo attacco è stata presentata e approvata una legge che incide negativamente, sia pure in via indiretta, sul fondamentale principio dell'autonomia e indipendenza dell'ordine giudiziario, princìpi che costituiscono uno dei fondamenti basilari dello Stato democratico di diritto. Si tratta della legge di delega di riforma dell'ordinamento giudiziario approvata in via definitiva il 20 luglio 2005. In sintesi, il dato più significativo di tale riforma (in realtà un intervento tendente alla paralizzazione e alla burocratizzazione della magistratura) è costituito da una serie di innovazioni intese fra l'altro a ridurre, limitare o neutralizzare le funzioni del C.S.M., in evidente contrasto con la centralità ed il rilievo, dati a questa Istituzione dall'art. 105 della Costituzione, nella sua funzione di organo di autogoverno della magistratura. È del tutto evidente che con l'indebolimento di tale organo si correrà infatti il serio rischio di minare il vero baluardo dell'indipendenza della magistratura e dei singoli magistrati e quindi la garanzia essenziale dell'imparzialità del sistema di giustizia nel suo insieme e con riferimento a ciascun giudice e a ciascun processo, con inevitabili negative ricadute sulla effettività della garanzia dei diritti dei cittadini.
IV Necessità della memoria
Nel nostro prossimo Congresso, va ripreso con forza il tema della memoria della Resistenza come uno dei cardini fondamentali per la salvaguardia, l'affermazione, l'attuazione e lo sviluppo dei princìpi e dei valori su cui deve essere fondata la nostra democrazia, come moderno sistema di libertà e di libera convivenza, all'altezza di una società progredita e complessa come quella in cui viviamo. Nel corso della tragedia epocale della II guerra mondiale, le vicende e le motivazioni della lotta del nostro popolo e degli altri popoli d'Europa a fianco delle forze alleate per la liberazione dai totalitarismi nazista e fascista, hanno fatto della Resistenza italiana, consolidatasi in un Paese che fascista era stato, e di tutte le altre Resistenze europee un'indimenticabile vicenda storica di riscatto e di liberazione umana, la cui lezione continua a prolungarsi nella odierna realtà, percorsa da tanti nuovi conflitti, violenze e rimozioni. La nostra Associazione ha largamente dedicato il Congresso di cinque anni or sono al tema della necessità di una vera e propria "strategia della memoria" quale compito primario che spetta alle forze della Resistenza. Nel momento che stiamo attraversando è più che mai necessario ritornare su questo tema ribadendone l'importanza, nel senso che quella memoria non tanto e non solo deve consistere in una ricostruzione retrospettiva degli avvenimenti del secolo scorso, quanto deve costituire fattore portante per la attualizzazione di princìpi e valori per cui si è lottato allora, come insegnamento e guida per il presente e per il futuro, come elemento costitutivo della cultura, dello stesso modo di sentire e quindi della stessa identità delle più giovani generazioni. Constatiamo con soddisfazione che il significato permanente e attuale della memoria e l'impegno che come sopra delineato ne scaturisce è fortemente sentito dalla nostra Associazione, da tutte le organizzazioni della Resistenza e del lavoro e da larga parte dell'opinione pubblica democratica. Ne è tangibile testimonianza lo straordinario successo delle iniziative per il 60° della Resistenza che forse mai come nel 2005 si sono distinte per numero, qualità, corale partecipazione, anche giovanile. Il segno più emblematico di questo sentire, che ha percorso le intime fibre del nostro popolo, si è avuto nella grande manifestazione del 25 aprile scorso a Milano, alla presenza del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ove i temi della attualità e del ricordo si sono profondamente legati gli uni agli altri e si è realizzato un autentico colloquio tra le generazioni. Dobbiamo essere coscienti da un lato che tutto ciò è vincente sul revisionismo manipolatorio della storia d'Italia con cui da anni si tenta di marginalizzare, delegittimare e persino denigrare la Resistenza, ma che tuttavia quest'ultima offensiva antidemocratica e antipatriottica manifesta il rischio di una involuzione contro la quale occorre battersi con le armi della verità, della ragione, della cultura, dell'informazione. In questo impegno abbiamo un punto di riferimento straordinario e prezioso, il quale incarna la vera e più autentica essenza del nostro popolo e della nostra società: esso è rappresentato dal nostro Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che instancabilmente con l'autorevolezza propria della sua altissima funzione e della sua personalità indica quali siano le valutazioni, i valori di riferimento, le strade che l'Italia ha positivamente percorso dal Risorgimento alla Resistenza e quelle che deve percorrere oggi e domani per essere degna del suo passato migliore e di un futuro di libertà, di progresso e di concordia. Grazie Presidente!
V Modifiche Statuto dell'ANPI
Nell'ambito dei 60 anni che intercorrono dalla data della costituzione della nostra Associazione, avvenuta il 6 giugno 1944, ad oggi - il cui anniversario abbiamo solennemente festeggiato in Campidoglio lo scorso 10 dicembre - l'ANPI ha sempre partecipato alle vicende della nostra politica per la difesa dei princìpi che hanno animato la lotta di liberazione nazionale e per impedire i tentativi di rigurgito del fascismo, contro i ripetuti tentativi di golpe, lo stragismo neofascista, da Piazza Fontana a Bologna, e contro il terrorismo delle Brigate rosse, contro i poteri miranti a far deviare dal suo alveo naturale il nostro sistema democratico, quali la P2 e la stessa criminalità organizzata. Abbiamo quindi sempre ritenuto che il nostro compito non si fosse esaurito il 25 aprile 1945, ma continuasse dopo la liberazione d'Italia dal fascismo e dalla occupazione nazista. Il quadro complessivo di fronte al quale oggi ci troviamo, come in questo stesso documento è evidenziato, ci impone di non abbassare la guardia dando continuità e coerenza al nostro impegno. Perché ciò possa tuttavia pienamente realizzarsi occorre che la continuità del nostro impegno sia sempre più affidata a componenti delle generazioni più giovani rispetto a quelle che hanno direttamente partecipato alla esperienza della Resistenza. Questa esigenza è del resto presente nello stesso vigente statuto dell'ANPI dove all'art. 2 nel definire gli scopi della Associazione si dice testualmente: "Valorizzare in campo nazionale e internazionale il contributo effettivo portato alla causa della libertà dall'azione dei partigiani e degli antifascisti, glorificare i caduti e perpetuarne la memoria". Conosciamo tutti del resto il contributo fattivo e operante dato in questi anni da coloro che in qualità di antifascisti hanno preso parte attiva alla vita e alle lotte della nostra Associazione. Questi elementari rilievi hanno costituito la base delle determinazioni assunte nei convegni di Reggio Emilia del 14 marzo e 22 novembre 2003. Si tratta di aprire ufficialmente e formalmente le porte alla possibilità di iscriversi all'ANPI, quali soci a pieno titolo, di coloro che condividono il patrimonio ideale, i valori e le finalità dell'ANPI e intendono contribuire impegnandosi alla realizzazione e alla continuità nel tempo degli scopi associativi. Per il conseguimento di tale obiettivo è opportuna una modifica statutaria da proporre alla sede competente attraverso un atto del Congresso Nazionale. Ai fini della formulazione di tale modifica è stata nominata, nella riunione del Comitato nazionale del 27 luglio scorso, una piccola Commissione preparatoria formata dal vice-presidente vicario Tino Casali; dal vice-presidente Raimondo Ricci; dai componenti del Comitato Nazionale Gianfranco Maris e Ilio Muraca e dalla segretaria nazionale Marisa Ferro. Alla luce di contatti, esami e accertamenti, la Commissione, preso atto della sostanziale approvazione delle modifiche elaborate e riservandosi di valutare più attentamente alcune proposte emerse in quella riunione, presenterà un testo definitivo da sottoporre al Congresso del prossimo febbraio 2006. In sostanza si tratta di inserire nell'art. 23 del vigente Statuto, che contiene le indicazioni dei requisiti per l'iscrizione all'ANPI, un secondo comma nel quale si affermi che l'iscrizione stessa è ammissibile a pieno titolo anche per coloro che: "condividendo il patrimonio ideale, i valori e le finalità dell'ANPI, intendono contribuire con il loro impegno concreto alla realizzazione e alla continuità nel tempo degli scopi associativi con il fine di conservare, tutelare e diffondere la conoscenza delle vicende e dei valori che la Resistenza, con la lotta e con l'impegno civile e democratico, ha consegnato alle nuove generazioni come elemento fondante della Repubblica e dell'Unione Europea e come patrimonio essenziale della memoria del Paese".
Cari compagni e amici, alla luce delle valutazioni che in queste pagine sono contenute e di quelle altre di cui, con la vostra intelligenza e la vostra passione, Voi vorrete arricchirle nel corso del dibattito congressuale, il Comitato Nazionale augura a tutti Voi un buon lavoro e successo al nostro XIV Congresso per la libertà e il progresso d'Italia.